Gino (Vignali) e Michele (Mozzati) sono scrittori, autori televisivi e teatrali.
Hanno pubblicato la serie delle Formiche (iniziata nel 1990) con la raccolta Anche le formiche nel loro piccolo s’incazzano, oltre a Rosso un cuore in petto c’è fiorito (1978), Saigon era Disneyland in confronto (1991), Antenna Pazza e la tribù dei Paiache (1996), Quinto Stato (1997) e il loro primo romanzo Neppure un rigo in cronaca (Rizzoli 2000, Feltrinelli 2009). Sono direttori di Smemoranda.
In televisione hanno firmato le trasmissioni televisive Drive in, Emilio, Vicini di casa, Su la testa e Comici.
Sono gli ideatori e gli autori di Zelig.
Hanno collaborato in teatro con numerosi artisti, tra cui Gabriele Salvatores, Paolo Rossi e Aldo Giovanni e Giacomo.
Una città-incrocio
di Gino & Michele
I luoghi non sono mai del tutto oggettivi.
Viviamo un’ intera vita per rendere cose – e persone situazioni epoche – belle o brutte; alte basse bianche nere grigie; entusiasmanti o tristissime. Sono le stesse cose, persone, epoche che altri uomini possono vivere in modo diametralmente opposto al nostro. La realtà, qualsiasi essa sia, un granello di sabbia o il primo amore, acquista valori diversi, cambia persino le sembianze, una volta passata attraverso la nostra anima o la nostra mente, i nostri occhi o le nostre emozioni.
La realtà dunque ci pare che non si possa dire oggettiva.Che non sia mai veramente obiettiva.
Fa specie, pensando alla macchina fotografica, che quell’aggeggio che aiuta a fermare per sempre le immagini – l’obiettivo – prenda il nome tecnico da un assunto che detterebbe invece verità intrinseche, obiettive, appunto.
I fotografi sanno bene che non è così. Dietro a ogni fotografia c’è un’anima, un occhio, una sensibilità che differenzia la scelta di un soggetto da un altro. In quel preciso momento, con quella data luce, con quel taglio e quel tempo di esposizione scelto dal fotografo, la realtà che sta per essere fermata in immagine proprio attraverso l’obiettivo, da oggettiva diviene soggettiva e la fotografia che ne prenderà forma avrà per sempre il segno del suo creatore. Un artificio destinato a coinvolgere contemporanee forme d’arte.
Accade un po’ la stessa cosa a chi scrive. Più autori che volessero raccontare la città in cui vivono, anche facendolo nella stessa epoca e magari dalla stessa scrivania o guardano le strade dai medesimi vetri, offrirebbero al lettore pagine diverse. C’è stato addirittura un maestro di scrittura – Queneau – che in un sublime “esercizio di stile” si è divertito a raccontarci in decine di sfaccettature differenti un medesimo, apparentemente insignificante accadimento.
Un altro grande scrittore, il “catalogatore” Georges Perec, ha trascorso l’intera vita imponendosi un affascinate appuntamento: trovarsi a annotare su un foglio ciò che vedeva in una piazza parigina ogni anno, stesso giorno, stessa ora.
L’idea è stata “rubata” con intelligenza dal regista Wayne Wang che in Smoke, film delizioso, fa fare la medesima cosa a un negoziante, ma questa volta con la macchina fotografica: 4000 fotografie, stesso luogo, stessa ora, stesso taglio e angolazione, giorno dopo giorno. Riducendo al minimo, questa volta sì, l’interpretazione e lasciando totale spazio al documento. Ma in questo caso, come in Perec, il genio creativo sta nell’idea di partenza: anche qui, seppur all’origine, si potrebbe parlare di artificio, in fondo.
Abbiamo accennato di fotografia e di scrittura in parallelo. Sono forme diverse di interpretazione del reale, ma come si può intuire anche dalle righe precedenti, non così lontane. Per questo abbiamo accettato di provare a incrociare le nostre micro emozioni di milanesi che di professione scrivono, con quelle di un amico fotografo. Con Riccardo abbiamo provato a raccontare alcuni luoghi, per noi significativi, della nostra città. Ci piacciono i suoi tagli “verticali”. Ci raccontano soprattutto quello a cui noi milanesi non siamo più abituati: non sappiamo ormai guardare in alto. Anche le città hanno i cieli (e raramente le stelle).
Riccardo Lorenzi è in qualche modo un “pagnottante”, come si sono chiamati per secoli coloro che sono approdati in città per attingere e partecipare alla crescita della nostra composita cultura di città-incrocio. Milano è la sola città italiana degna di chiamarsi metropoli anche per questo . I milanesi sanno bene che la sopravvivenza dei loro luoghi e dei loro primati necessita di confronti continui. Grandi e piccoli. Da Stendhal alle portinaie di Barletta, da Mourinho al garagista ucraino sotto casa.
Non sappiamo se Riccardo sia più avvicinabile a Stendhal o a Mourinho; certamente non è ucraino ma pur essendo toscanissimo offre la medesima estroversione di una portinaia di Barletta. Ci è bastato raccontarci qualche mezza giornata per capire che ci si poteva divertire assieme. Per questo abbiamo accettato il suo invito. E caricatolo sulle nostre Vespe l’abbiamo portato in giro per itinerari milanesi che ci appartengono. Luoghi cosi poco obiettivi, così “nostri”, da diventare suoi. Ce li ha ritornati identici e diversi. Milano è così, uno scambio perenne.
L’ultima geniale invenzione della coppia Lancia & Ponti nel ’33. Un cilindro incastrato dentro a un cubo. Per noi bambini questa curiosa casa rossa ai margini dei Giardini Pubblici era uno strano castello silenzioso Due di due milioni Il sole ne bacia una sola Ma davvero Milano è così tonda? Nella cornice prima c’era il sole Tra le poche romane che a Milano vivono bene… 21 Gennaio 2010